Sensazione e percezione (Dizionario di Medicina)
Treccani – L’enciclopedia italiana
Dizionario di Medicina (2010)
di David Burr, Maria Concetta Morrone
Il mondo che ci circonda ci appare reale e concreto, e la nostra percezione avviene naturalmente senza essere coscienti del lavoro e dello sforzo che essa comporta; né siamo consapevoli che la percezione spesso non rappresenta la realtà vera. Percepiamo oggetti, li tocchiamo e manipoliamo, ascoltiamo il suono che essi producono o le sensazioni dolorifiche o di piacere che a volte inducono, siamo coscienti della loro realtà, ma non di come la loro percezione sia generata.
Tutto ciò che crediamo essere vero dell’ambiente che ci circonda dipende da ciò che abbiamo rilevato e appreso dai nostri sensi, ma anche dalla nostra esperienza precedente. È normale esperienza constatare che la valutazione di alcune caratteristiche degli oggetti, per es. del loro valore simbolico o estetico, dipende non solo dai dati sensoriali in entrata, ma anche dalla conoscenza, dalla cultura, dallo stato d’animo dell’osservatore. [➔ acuità visiva; gusto; musica e cervello; olfatto; recettore nervoso; stereopsi; visione] La sensazione è la consapevolezza mentale di una risposta di organi di senso a stimoli come il calore, il suono, le radiazioni luminose. La percezione è la conoscenza, ottenuta mediante i sensi, dell’esistenza e delle proprietà di oggetti esterni: il termine indica sia l’atto del prendere coscienza di una realtà esterna, sia la capacità di utilizzare informazioni sensoriali per il comportamento. I nostri sensi si sono evoluti per captare al meglio solo le informazioni più utili per la sopravvivenza, eliminandone molte ridondanti o inutili. L’informazione viene prima tradotta in segnali nervosi, elaborata da centri specializzati per estrarne la parte più saliente e poi ricomposta per sintetizzare qualcosa che non è la semplice somma delle parti ma un costrutto che possiamo classificare e riconoscere come simile a esperienze precedentemente vissute. Sebbene si consideri che la sensazione effettui la codifica e l’elaborazione dei messaggi nervosi e quindi costruisca gli elementi base che poi verranno assemblati dalla percezione, la separazione fra le due funzioni non è netta. È quindi opportuno descriverle insieme, evitando di creare confini che di certo non esistono a livello fisiologico.
Elaborazione della percezione della realtà
La vecchia teoria che supponeva che nel nostro cervello si formassero sbiadite copie della realtà o addirittura rappresentazioni punto per punto di essa, vere immagini fotografiche o tracce sonore o immagini tridimensionali, non può essere più sostenuta. Colori, suoni, odori, sapori non esistono in natura, ma sono generati dal cervello e quindi rappresentano costruzioni della mente; dall’altra parte i fenomeni fisici associati a queste sensazioni esistono anche senza l’uomo. Questo porta alla formalizzazione del dualismo tra natura e pensiero oppure al dualismo mente/corpo (➔ mente e cervello) che è stato ed è tuttora argomento di dibattito fra scienziati e filosofi della percezione, a cominciare da Aristotele. Ogni organo di senso, sia esso l’occhio, la coclea, i recettori del tatto, del gusto e dell’olfatto, effettua una traduzione dell’energia del mondo esterno convertendola in differenza di potenziale della membrana del recettore. Le caratteristiche principali di questo processo sono la selettività per l’energia da captare, la densità di campionamento del segnale, la sensibilità della rilevazione. Sebbene i vari sensori biologici utilizzino strategie diverse per meglio rispondere a queste esigenze, tutti riescono a effettuare la traduzione in modo molto efficiente. Bastano pochi fotoni al buio per generare una sensazione, e bastano ritardi temporali di poche centinaia di microsecondi nella propagazione del suono per ottenere un’accurata localizzazione della sorgente sonora.
Sensibilità e selettività
L’alta sensibilità è associata anche a una alta selettività: l’energia sonora non può eccitare il fotorecettore; non tutte le lunghezze d’onda riescono a generare una risposta di un fotorecettore, così come gli ultrasuoni non vengono rilevati dall’orecchio dell’uomo. Mantenere un’alta sensibilità di discriminazione fra stimoli per tutte le possibili intensità del segnale in arrivo non sarebbe una strategia utile per la nostra interazione con il mondo esterno. Rilevare 10 fotoni al buio pesto potrebbe salvarci dal cadere nel baratro di una buca, ma rilevare un incremento di 10 fotoni mentre si guarda la televisione comporterebbe solo uno spreco energetico: quei 10 fotoni sarebbero probabilmente associati al rumore fotonico e non a un segnale utile per la percezione. Il rumore di solito varia (anche se non linearmente) con l’energia del segnale; è quindi importante che anche i sensori attenuino la loro sensibilità per alti livelli di energia in ingresso, onde minimizzare le perturbazioni del rumore. I senmemsori effettuano questo processo di attenuazione della sensibilità, modificandola proporzionalmente con l’energia media almeno per un ristretto intervallo di intensità. Questi fenomeni sono espressione di due meccanismi: il primo è una relazione compressiva fra la risposta del recettore e l’ampiezza del segnale, il secondo è l’adattamento.
Variazione della sensibilità in funzione dell’adattamento
L’adattamento è uno dei meccanismi che più caratterizzano i processi della sensazione e della percezione. L’adattamento fa sì che il sistema elimini un’informazione costante e stabile per molto tempo, poiché la sua codifica è costosa in termini di banda di trasmissione impegnata, e non molto utile. Molto più utile è impegnare la banda disponibile per rilevare variazioni dell’ingresso spostando il punto di lavoro del recettore intorno alla media del segnale. L’adattamento è il meccanismo che ci permette di abituarci a un rumore acustico di fondo, a una luce ambiente, al peso dei nostri vestiti, al gusto salato, a un odore sgradevole. La relazione compressiva fra input e output e l’adattamento sono proprietà che determinano come varia la nostra sensibilità per discriminare variazioni, ai diversi livelli di intensità del segnale in ingresso (legge di Weber). Questa legge stabilisce che il potere di discriminazione varia proporzionalmente all’intensità media del segnale. Per es., possiamo discriminare un’aggiunta di 5 g su un peso di 100 g, ma solo 50 g su un peso di 1.000 g. La legge di Weber si applica a tutte le sensazioni, ed è a volte violata solo per stimolazioni di intensità estreme. In molti casi il meccanismo che determina la legge di Weber ha origine nel recettore, come per l’adattamento alla luce, in altri casi nei circuiti neuronali che ricevono e analizzano l’informazione dei recettori, per es. quando discriminiamo la separazione temporale fra due eventi. Comunque esso è espressione del funzionamento di meccanismi automatici di controllo della risposta o dell’adattamento.
Campionamento dei dati in input
L’altra funzione importante dei recettori è un campionamento adeguato del segnale in ingresso. Se il recettore integrasse informazioni troppo lentamente nel tempo, non sarebbe in grado di codificare alte frequenze di variazioni dell’input. Se lo stesso recettore viene attivato solo a tempi discreti esso può addirittura introdurre distorsioni del segnale (aliasing), come avviene in alcuni casi per i fotorecettori (➔ acuità visiva). La trasmissione del segnale dei recettori avviene in forma digitale e anche questo limita spesso la nostra sensazione. Un assone ha un limite massimo di frequenza di scarica, in quanto può generare impulsi che devono distare almeno 1 ms. Quindi, anche a livelli postrecettoriali il sistema deve posizionare la banda di trasmissione sull’informazione predominante, azionando anche in questo caso meccanismi di adattamento o di guadagno. Per la visione questo avviene per l’analisi del contrasto a ogni stadio successivo al recettore, dalla retina alla corteccia; anche per il sistema tattile si ipotizza un meccanismo simile di controllo automatico delle risposte.
Filtraggio dei segnali in input
Tramite meccanismi di convergenza e divergenza degli output dai recettori, i sistemi sensoriali generano filtri, molto spesso non-lineari, che estraggono informazioni molto specifiche dal segnale in ingresso. Esempi sono la struttura dei campi recettivi nelle varie stazioni visive e nelle stazioni somatosensoriali o la sensibilità al ritardo interaurale delle risposte dei neuroni acustici. In generale, procedendo verso stadi superiori di analisi, i campi recettivi diventano più complessi, più grandi e invarianti per più dimensioni dello stimolo, come la posizione, la frequenza, la composizione armonica del suono, ecc. A ogni stadio vengono eliminate informazioni, di solito quelle per cui la risposta del circuito è invariante. Questo è il fenomeno alla base delle costanze percettive: il cervello rigenera da altri indizi l’informazione selettivamente eliminata. Per es., la brillanza di una superficie è sintetizzata dal valore del contrasto del contorno e questo valore è invariante rispetto alla reale luce riflessa dalla superficie. Un altro esempio tipico è dato dall’invarianza della grandezza di un oggetto che, se osservato a distanze diverse dovrebbe essere percepito di grandezze diverse, ma l’informazione della grandezza assoluta viene eliminata precocemente dall’analisi sensoriale. La grandezza variabile della Luna è una illusione percettiva associata al medesimo meccanismo: quando la Luna è bassa sull’orizzonte, essa appare più grande rispetto a quando si trova in alto nel cielo; in realtà la Luna proietta sulla nostra retina un’immagine sempre di grandezza identica, poiché è sempre collocata approssimativamente alla stessa distanza dalla Terra. Ma poiché il nostro cervello mantiene il valore di grandezza relativa e non quello assoluto, la grandezza della Luna viene percepita erroneamente se vista all’orizzonte dove è possibile compararla con la grandezza di altri oggetti.
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Mappe corticali per l’elaborazione del segnale
Per la sintesi dell’informazione dalle risposte dei filtri, si ritiene che il sistema associ a ogni filtro di analisi una etichetta (labelled-line) in modo che l’attività dei neuroni possa segnalare la presenza di un evento con proprietà specifiche. Non solo un neurone assume specificità selettive per particolari caratteristiche del segnale (come l’orientamento di uno stimolo visivo o la direzione di un movimento di un suono) ma più neuroni analizzano la stessa proprietà, anche se con sensibilità diversa: si vengono così a generare mappe corticali per ciascuna caratteristica. Le più note sono le colonne somatosensoriali che rappresentano le varie parti del corpo e i vari tipi di recettori tattili (➔ tatto) o le colonne di dominanza oculare per la corteccia visiva o le univoche mappe spaziali del bulbo olfattivo (➔ olfatto) generate da specifici odoranti. Tali mappe rivestono un ruolo importante per l’analisi dell’informazione: esse permettono agevolmente di implementare una codifica distribuita fra la popolazione neuronale (codice di popolazione). Queste teorie assumono che la distribuzione dell’attività nella mappa determini la decisione che verrà poi trasferita agli stadi superiori di analisi. L’utilizzo di codici di popolazioni per l’analisi di stimoli visivi è facilmente osservabile con semplici dimostrazioni, sia per caratteristiche di base come l’orientamento o il colore, sia per stimoli complessi come la classificazione del genere di un volto. Un’analogia per spiegare il funzionamento del codice di popolazione è il lavoro decisionale svolto in un’assemblea (per es., il Parlamento). La decisione è presa dalla maggioranza, ma il peso di ogni membro dell’assemblea non è uguale. Il verdetto finale è ottenuto pesando la risposta dei singoli neuroni con la relativa sensibilità del meccanismo. Quando si perturba la sensibilità del meccanismo, a opera di un adattamento o di una stimolazione, si altera il verdetto e, quindi, la percezione. Quindi s. e p. non dipendono solo dalle energie fisiche degli stimoli esterni, ma anche dallo stato interno dell’osservatore. Una perturbazione selettiva delle mappe sensoriali non avviene solo a opera di stimoli esterni, ma può essere mediata anche da stimoli interni, sia di natura cognitiva, sia di natura sensoriale più complessa. Ogni mappa sensoriale riceve segnali dalle stazioni più in basso nell’analisi (bottom-up), ma anche segnali da elaborazioni più elevate (top-down) ed entrambe questi possono interferire con l’attività della mappa. Per es., immaginare un volto potrebbe interferire con la classificazione di un ritratto, ma così anche l’esplorazione aptica (ossia toccando con attenzione) di un volto. Inoltre recenti ricerche mostrano che i segnali top-down possono interferire precocemente nell’analisi della sensazione; così i segnali di immaginazione sembrano modulare l’attività nervosa a livello talamico. Anche l’interazione fra le varie modalità sensoriali sembra essere attiva già a livello delle mappe corticali primarie: i neuroni delle cortecce primarie, che fino a poco tempo fa venivano considerati selettivi per la singola modalità sensoriale, sembrano essere stimolati da segnali provenienti dagli altri sensi. Tuttavia questi segnali intermodali possono essere attivi solo se essi sono congrui con i segnali delle altre modalità e pertinenti al compito percettivo.
Fusione multisensoriale
Un aspetto molto peculiare del sistema percettivo è che l’energia del mondo esterno viene captata in parallelo dai diversi sensi, viene analizzata in parallelo all’interno di ogni sistema sensoriale da filtri con selettività specifiche, dà luogo alla formazione di mappe di attività multiple, eppure alla fine la percezione è unica. Come avvenga la fusione delle varie sensazioni in un percetto unico è tuttora materia di studio. Tuttavia si sa che la fusione avviene valutando l’affidabilità individuale delle singole analisi. Il sistema percettivo è quindi a conoscenza dell’errore associato alle singole stime effettuate dalle varie analisi unimodali e quindi può operare una fusione ottimale delle informazioni. Se un segnale visivo è accompagnato a un segnale acustico ambiguo, come nel caso di due pupazzi di cui uno è nascosto e l’altro parlante, il sistema percettivo assocerà il suono al pupazzo visibile (e di fatto silenzioso), perché assume che il sistema visivo sia più affidabile dell’udito nella localizzazione degli stimoli nello spazio (teorema di Bayes sulle conoscenze a priori). Questo è il meccanismo che genera l’illusione dei ventriloqui e molte altre, come le illusioni prospettiche di profondità. È il meccanismo che viene utilizzato anche per risolvere il problema della corrispondenza delle disparità (➔ stereopsi) o del movimento ambiguo. Ruolo e funzione dei concetti a priori. La fusione ottimale, o bayesiana, utilizza concetti a priori, ossia una rappresentazione precostituita o preesistente all’evento percettivo. Tuttavia la conoscenza a priori non deve essere necessariamente di natura cognitiva: essa può derivare dal possesso di informazioni che rappresentano le proprietà intrinseche dei circuiti che mediano la funzione, come la forma del campo recettivo dei meccanismi di analisi. In altre condizioni la conoscenza a priori può essere generata da un’emozione o da una associazione appresa nel tempo. Nella percezione le leggi della Gestalt, come la prossimità, la simmetria, la continuità, ecc., possono considerarsi come informazioni a prioribasate sulla probabilità di occorrenza di una particolare configurazione. Date le probabilità statistiche dei segnali del mondo esterno, è ben più raro che un segnale cambi bruscamente orientamento nello spazio piuttosto che variare gradualmente; oppure che elementi simili siano anche più prossimi invece che più distanti o che si raggruppino più frequentemente. A volte l’informazione a priori è veicolata da interazioni top-down che modificano l’attività delle cortecce primarie. Questo implica che una stessa attività possa essere interpretata diversamente in funzione dell’informazione sulla conoscenza a priori: ovvero la percezione è generativa e attiva. Nell’osservare una scrivania piena di fascicoli e libri, non si analizza tutta l’informazione contenuta nei singoli elementi (bordi, superficie, ombre, ecc.), ma la si paragona con la rappresentazione mentale della stessa scrivania contenuta nella conoscenza a priori. Questo facilita il compito di analisi che può essere effettuato per paragoni: solo le informazioni che meglio si adattano o si discostano dal modello a priori vengono trasmesse agli stadi superiori, e questo permette di trasferire informazioni in un tempo minore. In assenza di una conoscenza a priori, il cervello, con i suoi notevoli limiti computazionali, non sarebbe in grado di elaborare l’enorme quantità di informazione che continuamente arriva ai suoi centri. Ovviamente una percezione generativa è fortemente soggetta a errori e probabilmente il sistema ha meccanismi di controllo per verificare se il modello utilizzato per il confronto percettivo è quello adeguato. Percezione cosciente e non cosciente. La definizione di percezione, comunemente accettata, implica un riconoscimento e una presa di coscienza dello stimolo. Tuttavia si può avere percezione senza necessariamente avere un riconoscimento cosciente. Basti pensare al caso della visione cieca (blindsight) associata a lesioni dell’area corticale visiva primaria. Il paziente è cieco e non cosciente della presenza di stimoli visivi, ma in condizioni di scelta forzata riesce a determinare la presenza dello stimolo e la sua posizione. Inoltre l’informazione degli stimoli ‘non-visti’ riesce ad alterare il comportamento del soggetto e la sua risposta motoria: questi pazienti, sebbene ciechi, raramente collidono, durante la deambulazione, con ostacoli lungo il percorso. Questi e altri esperimenti hanno portato a suggerire l’esistenza di duplici sistemi percettivi per la visione e per l’udito, che lavorano in parallelo: un sistema che analizza l’informazione per il riconoscimento cosciente dell’oggetto (sistema what), l’altro che utilizza e veicola l’informazione dell’oggetto al sistema motorio (sistemawherehow). La percezione per l’azione non richiede un’analisi cosciente; probabilmente effettua un’analisi meno dettagliata del riconoscimento, ma richiede una migliore localizzazione dello stimolo nello spazio e una maggiore velocità di analisi poiché la sua uscita viene utilizzata per guidare il sistema dell’azione.
Percezione e sistema motorio
La percezione in assenza di una profonda sinergia con il sistema motorio sarebbe molto povera. Molti studiosi del sistema motorio infatti considerano che sia questo a rifinire e ad agire da collante delle varie analisi percettive. In ogni caso senza un’interazione con il sistema motorio, la percezione del mondo sarebbe molto instabile. I sensori del sistema sensoriale sono disposti su piattaforme mobili: gli occhi si muovono continuamente centrando lo sguardo sull’oggetto di interesse; a ogni movimento della testa anche le orecchie cambiano orientamento nello spazio; a ogni spostamento del corpo tutti i sensori tattili possono cambiare la loro posizione relativa e quella rispetto agli oggetti esterni. Eppure, la nostra percezione del mondo è costante e la sua rappresentazione mentale è invariante rispetto alla posizione dei sensori.
L’invarianza può essere ottenuta se il segnale utilizzato per eseguire il movimento del corpo o delle sue parti viene usato anche dal sistema sensoriale per compensare le conseguenze percettive indotte dagli spostamenti. Questo segnale, detto di scarica corollaria o di copia efferente, è un segnale motorio che informa il sistema sensoriale dell’azione che è in fase di programmazione o di attuazione; oltre a svolgere un ruolo fondamentale per la stabilità percettiva esso potrebbe anche convogliare segnali attentivi utili per la selezione delle informazioni da analizzare.
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Vedi anche:
Sensazione e Percezione (Technische Universität München)